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Locare l’ immobile alla prostituta: il prezzo di mercato esclude il reato

Locare l' immobile alla prostituta: il prezzo di mercato esclude il reato

Cassazione penale, sez. III, sentenza 28/09/2015 n° 39181

28-9-15Con la pronunzia che qui si annota, il Giudice di legittimità conferma i propri precedenti giurisprudenziali sulla (ir)rilevanza penale della locazione di immobile ad una prostituta a prezzo di mercato, con riguardo alle ipotesi criminose di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, di cui all’art. 3 della legge n. 75 del 1958 (c.d. Legge Merlin).

La Corte territoriale aveva, nel caso di specie, confermato gli approdi ermeneutici del giudice di prime cure, condannando l’imputato per entrambi i reati, in particolare (relativamente al favoreggiamento) per aver concesso in locazione un immobile a donne che vi avrebbero esercitato l’attività del meretricio; e (relativamente allo sfruttamento) per aver percepito canoni a scadenze irregolari di entità dipendente dalla effettiva attività svolta dai conduttori (cfr. paragrafo 1, Ritenuto in fatto).

La Corte di Cassazione, a seguito di apposito ricorso del difensore, ha al contrario annullato con rinvio ad altra sezione della medesima Corte d’Appello, in quanto la sentenza impugnata si mostrava irrispettosa di principi di diritto consolidati promananti da sedimentata attività ermeneutica del Giudice della nomofilachia.

I principi di diritto ancora una volta confermati sono nel senso che «non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi concede in locazione a prezzo di mercato un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la conduttrice vi eserciterà la prostituzione», nonché che «la locazione ad una prostituta di un appartamento anche per svolgervi l’attività potrebbe integrare il reato di sfruttamento della prostituzione qualora vi sia la prova che il locatore, attraverso la riscossione di un canone sicuramente esagerato e sproporzionato rispetto a quelli di mercato, tragga un ingiusto vantaggio economico dalla prostituzione altrui». In altri termini, la terza Sezione confuta la duplice rilevanza penale del fatto storico summenzionato, alla luce di precise argomentazioni.

Va innanzitutto osservato, secondo i Supremi Giudici, che la “Legge Merlin”, non includendo nell’alveo del penalmente rilevante la prostituzione in sé, si pone come precipuo fine quello di scongiurare il verificarsi di condotte di agevolazione e/o di sfruttamento del meretricio, vale a dire condotte ad esso satellitari idonee a costituire un impulso alla diffusione di un fenomeno – quale quello della vendita del proprio corpo a fini sessuali – che ripugna alla coscienza collettiva.

Sia consentito a chi scrive dare atto, pur lapidariamente ed incidentalmente, di una incoerenza legislativa che finisce per influenzare l’attività ermeneutica, rendendo anche quest’ultima assai criticabile con riferimento al bene giuridico tutelato dalle norme penali in tema di prostituzione e con riferimento alla ratio della punibilità delle condotte di agevolazione/sfruttamento del meretricio: invero, se ad essere riprovevole per il pensiero comune è l’atto prostitutivo, allora esso avrebbe dovuto essere reso penalmente rilevante assieme ad ogni condotta ad esso circostante in senso funzionale, in quanto trattasi di condotte tutte offensive del buon costume; se l’attività prostitutiva non è penalmente rilevante, allora non si comprende come possano assumere, di riflesso, illiceità penale comportamenti che mirano a permettere un’attività penalmente irrilevante o che traggano da essa vantaggio; se si ritiene che la punibilità per tali fatti sia giustificata da una situazione di subornazione della prostituta (es. induzione violenta alla prostituzione; sfruttamento economico non discendente da paritario accordo tra sfruttatore e prostituta), allora la legge Merlin finisce per essere una inutile superfetazione di norme penali già esistenti, miranti a tutelare la libertà morale, fisica e sessuale della persona.

Tornando alla pronunzia oggetto di annotazione, la Suprema Corte conferisce pregnanza proprio alla distinzione tra prostituzione in sé e condotte circostanti il fenomeno prostitutivo. L’evento del fatto illecito di matrice agevolativa è costituito dal contributo alla prostituzione, il quale tuttavia deve rivestire i panni di evento diretto, e non indiretto o mediato.

Vero quanto sopra, il soggetto che loca un immobile ad una prostituta (salvo il caso di locazione orientata ad allestire nell’immobile concesso in godimento una casa di prostituzione, fatto previsto e punito ex art. 3, n. 2, L. 75/1958) attua in via diretta ed immediata un “contributo alla persona”, configurando il contratto stipulato un modo per assicurare al conduttore l’esplicazione di un suo diritto abitativo. Il successivo impiego di tale abitazione per condurvi attività prostitutiva, anche se oggetto di rappresentazione psichica del locatore, costituisce un evento accessorio e successivo, non in grado di annodarsi causalmente alla stipula del negozio giuridico. Rimarcano, infatti, i Giudici di legittimità, che «anche quando il reato previsto è a forma libera (come il favoreggiamento e lo sfruttamento, che possono essere commessi “in qualsiasi modo”), la condotta dell’agente deve essere legata all’evento da un nesso causale penalmente rilevante», sicché «esula il reato ove la condotta dell’agente non abbia cagionato un effettivo ausilio per il meretricio, nel senso che questo sarebbe stato esercitato ugualmente in condizioni sostanzialmente equivalenti».

La Corte, in altri termini, sapientemente conferisce pregnanza al fenomeno eziologico che avvince condotta ed effetto agevolativo della prostituzione, il quale si verifica quando la condotta dell’agente contribuisce ad eliminare situazioni ostative o a procurare più facili condizioni per l’esercizio del meretricio (cfr. Cass. pen., sez. III, 3 febbraio 2015, n. 4931). Questo implica che, laddove sia possibile asserire che l’attività di prostituzione sarebbe stata condotta in condizioni non difformi, l’azione dell’agente non si pone né come condizione necessaria né come fattore agevolativo del meretricio, con conseguente irrilevanza penale della stessa.

Risolta la questione della irrilevanza del fatto storico con riguardo all’ipotesi del favoreggiamento della prostituzione, il Giudice della nomofilachia passa a vagliare la possibilità di sussumere la locazione di immobile a prostituta nella nozione di sfruttamento della prostituzione, sulla scorta dei guadagni che il locatore ottiene dai canoni anche grazie all’attività di meretricio svolta dal conduttore.

La questione trova nuovamente il rigetto della terza Sezione, poiché, per aversi sfruttamento della prostituzione, è indispensabile che l’agente tragga un’utilità (economicamente rilevante o meno) dall’altrui meretricio, dovendo ciò essere rigorosamente oggetto di prova. L’ottenimento di detta utilità è senza dubbio insito dell’accaparramento di canoni di locazione spropositatamente eccessivi, tanto da lasciar presagire che in essi sia contemplato un quid economico strettamente connesso all’attività prostitutiva.

La ricezione di canoni a prezzo di mercato, al contrario, pur adombrando la quasi certezza che la somma pecuniaria sia stata accumulata mediante la vendita del proprio corpo in cambio di corrispettivo, non può dirsi cagionata (in senso penalmente rilevante) dalla prostituzione altrui, costituendo piuttosto la giusta remunerazione per l’immobile concesso in locazione.


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