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Il matrimonio lampo non esclude l’assegno divorzile

Il matrimonio lampo non esclude l'assegno divorzile

Cassazione Civile, sez. VI, sentenza 05/02/2016 n° 2343

assegno-divorzile

La Corte di Cassazione – sentenza n. 2343del 5 febbraio 2016 – riconosce l’assegno divorzile in favore della moglie anche se il matrimonio é durato solo quindici mesi, nonostante la stessa godesse di un proprio reddito anche se nettamente inferiore a quello del marito. In seguito alla separazione, alla donna era stato riconosciuto l’assegno di mantenimento, ma il Tribunale di Modena, nel pronunciare il divorzio, aveva negato l’attribuzione dell’assegno divorzile per la brevissima durata del matrimonio.

Anche la Corte d’appello confermava la decisione di primo grado poiché l’unione non era durata abbastanza da giustificare aspettative e affidamento del coniuge nelle sostanze dell'altro. In Cassazione, la moglie deduce la violazione ed errata applicazione dell'art. 5 comma 6 della legge n. 898/1970.Il matrimonio era stato breve a causa del comportamento del marito che l’aveva tradita con un'altra donna dalla quale aveva avuto un figlio doposoli nove mesi dalla separazione. Inoltre il reddito del marito era elevatissimo, circa 18.000 euro mensili a fronte di quello modesto della moglie pari a 1.300 euro mensili. Per tanto la separazione e il divorzio avrebbero inciso negativamente sul tenore di vita goduto e sulle aspettative di un livello di vita elevato.

La Corte di Cassazione ritiene fondato il motivo di ricorso in quanto la Corte di appello non avrebbe reso una decisione conforme ai principi giurisprudenziali in materia di assegno divorzile. Secondo le recenti pronunce in materia, “l'accertamento del diritto all'assegno divorzile si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice verifica l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso dei rapporto, mentre nella seconda procede alla determinazione in concreto dell'ammontare dell'assegno, che va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e dei contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tali elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio” (Cass. Civ. n. 11870/2015,Cass. Civ. n. 2546/2014, Cass. Civ. n. 24252/2013).

La giurisprudenza di legittimità è, insomma, costante nell’affermare che nel divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell'assegno, ma non anche sul riconoscimento dell’assegno stesso. Fanno eccezione a questa regola i soli casi in cui non si sia verificata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi per la troppo breve durata del vincolo (Cass. Civ. n. 6164/2015).L’art. 5 comma 6 indica una serie di elementi che il giudice deve prendere in considerazione, quali la condizione e il reddito dei coniugi, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, la durata del matrimonio e le ragioni della decisione.

Recentemente, la Corte Costituzionale – sentenza n. 11 dell’11 febbraio2015 – ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze in relazione all’art. 5 della legge sul divorzio, in materia di riconoscimento di assegno divorzile. L’art. 5 comma 6° della legge n. 898/70 sarebbe stato in contrasto con gli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione. Quanto all’art. 2, per “eccesso di solidarietà” perché è imposto l’obbligo di far mantenere le stesse condizioni godute nel matrimonio al coniuge debole, ben oltre il matrimonio, anche per tutta la vita. In relazione all’art. 3, per “contraddizione logica” fra lo scopo del divorzio che è quello di fare cessare il matrimonio e i suoi effetti, e quello della previsione del mantenimento, che spinge molto lontano dal momento del matrimonio, il concetto di tenore di vita in costanza di matrimonio.

Con l’art. 29, perché l’obbligo, così configurato, sarebbe addirittura anacronistico in rapporto all’evoluzione sociale della famiglia, del ruolo dei coniugi e dell’incidenza dei divorzi. Basandosi sul solido orientamento della Cassazione, la Corte Costituzionale ha dichiarato la questione infondata, per il semplice fatto che il tenore di vita goduto durante il matrimonio non è l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile.


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