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I controlli a distanza sui lavoratori dopo i decreti attuativi del jobs act

I controlli a distanza sui lavoratori dopo i decreti attuativi del jobs act

Articolo, 08/10/2015

8-10-15Con la pubblicazione nel numero 221 della Gazzetta Ufficiale del 23 settembre scorso (Suppl. Ordinario n. 53), è entrato in vigore il Decreto Legislativo n. 151 del 14 settembre 2015, recante «Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014 n. 183».

Unitamente agli altri decreti attuativi del progetto di riforma del lavoro, il Jobs Act, questo testo affronta, in particolare, l’aggiornamento di un insieme di regole e procedure alla luce delle innovazioni tecnologiche intervenute nei modelli e nei contesti aziendali lavorativi e produttivi.

L’articolo 23 del D.Lgs. n. 151/2015 si incarica di modificare l’articolo 4 della Legge n. 300 del 1970 – anche nota come Statuto dei Lavoratori – per rimodulare la fattispecie integrante il divieto dei controlli a distanza, nella consapevolezza di dover tener conto, nell’attuale contesto produttivo, oltre agli impianti audiovisivi, anche degli altri strumenti «dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori» e di quelli «utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa».

Nella sua formulazione originaria l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori al comma 1 stabiliva un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Al secondo comma, invece, il divieto cadeva, soltanto a condizione che il datore avesse osservato quanto ivi tassativamente previsto, in quanto era stabilito che gli impianti e le apparecchiature di controllo «che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori» potevano essere installati previo accordo con le Rappresentanze Sindacali presenti in Azienda (in mancanza delle quali, secondo l’interpello del Ministero del Lavoro del 19 giugno 1989, non si poteva ricercare un accordo con una RSA di una qualsiasi altra unità produttiva della medesima azienda, ma il datore avrebbe potuto avanzare l’istanza direttamente all’Ispettorato provinciale del lavoro, che poteva eventualmente essere impugnata dalle associazioni sindacali individuate dall’art. 19 dello Statuto) o, in caso di mancato accordo, previa autorizzazione della DTL territorialmente competente.

L’intervento riformatore dell’articolo 23 in esame, sembra voler chiarire il dibattito giurisprudenziale sorto attorno alla casistica dei controllo c.d. “difensivi”. A tal proposito la Suprema Corte di Cassazione ha recentemente confermato che le garanzie poste in materia di divieto di controlli a distanza dal secondo comma dell’articolo 4 dello Statuto si applicano ai controlli difensivi, volti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori «quando, però, tali comportamenti riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, e non, invece, quando riguardino la tutela di beni estranei al rapporto stesso», stabilendo che sono legittimi quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti del lavoratore e lesivi del patrimonio aziendale (Cfr. Cass. n. 3122/2015 e Cass. n. 2722/2012).

Lo scopo della norma, dunque, rimane quello di contemperare, da un lato, l’esigenza afferente all’organizzazione del lavoro e della produzione posta in essere dal datore e, dall’altro, il diritto del prestatore a non vedere sottoposto ad un controllato a distanza lo svolgimento delle sue attività nel luogo di lavoro, «individuando una precisa procedura esecutiva e gli stessi soggetti partecipi» (Cass. n. 16622/2012).

Si nota, fin dalla rubrica e dalla prima proposizione succitata della novella all’art. 4, come le «altre apparecchiature» della norma previgente siano state sostituite da una formula che possa comprendere altre ipotesi nelle quali si può incorrere nella casistica di un controllo a distanza (anche, ma non solo, difensivo), adottando quindi un criterio che prende in considerazione «gli altri strumenti», che, evidentemente, il Legislatore del 1970 non poteva immaginare.

Nell’esercizio di bilanciamento fra un’organizzazione aziendale in grado di far acquisire all’imprenditore vantaggi competitivi e il rispetto della dignità dei lavoratori, sul punto la norma traccia una linea al di qua della quale si collocano quegli strumenti il cui utilizzo è potenzialmente in grado di rendere il lavoratore oggetto di controllo, in quanto ai fini dell’espletamento delle attività rese in costanza di lavoro, non è necessario che questi utilizzi tali strumenti per eseguire la prestazione (è il tipico caso degli strumenti audiovisivi e di quelli per la conservazione e il tracciamento dei dati mediante dispositivi di geolocalizzazione). Al di là di tale linea, come enunciato nel secondo comma del nuovo articolo 4 in esame, si collocano tutti quegli strumenti attraverso i quali il lavoratore esercita la sua attività lavorativa, che questi utilizza «per rendere la prestazione lavorativa», compresi quelli per la rilevazione degli accessi e delle presenze (in tale ambito rientrano ad esempio i pc e i telefoni cellulari, i software di comunicazione telematica, la stessa rete intranet aziendale).

Per quanto riguarda l’installazione e l’utilizzo degli strumenti di cui al primo comma, è stata confermata una procedura di codeterminazione fra datore di lavoro e Rappresentanze Sindacali (RSU o RSA) – che trova luogo tramite un Accordo con le rappresentanze sindacali presenti nelle diverse unità produttive dell’azienda ai fini dell’installazione e dell’utilizzo dell’impianto di controllo – preliminare rispetto all’installazione degli strumenti, il cui esito negativo porta il datore a richiedere l’autorizzazione amministrativa della DTL competente.

In tale ambito, la novità è rappresentata dal fatto che il Legislatore ha voluto disciplinare tale procedura anche per il caso delle imprese pluri-localizzate, tipizzando la centralizzazione della procedura mediante la possibilità di stipulare un Accordo fra l’azienda e le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o, in caso di mancato Accordo, tramite l’istanza di autorizzazione da avanzare direttamente al Ministero del Lavoro.

In questo modo – e sulla scorta delle Note del Ministero del Lavoro del 16 aprile e del 7 maggio del 2012 – sembrano essersi decisamente semplificati i vari passaggi ai livelli decentrati, così potendosi evitare possibili orientamenti difformi delle sedi amministrative periferiche, di fronte all’installazione di un impianto tecnologico che presenta caratteristiche costruttive e di funzionamento standardizzate e del tutto identiche sul territorio. Sebbene, a sommesso avviso dello scrivente, vi sarebbe da chiedersi perché il Legislatore se finora ha utilizzato un criterio che si potrebbe definire “di maggiore vicinanza” al personale operante presso le singole unità produttive, giustificato dalla natura personalissima dei diritti potenzialmente limitati dall’uso di impianti di controllo a distanza, ha preferito il criterio comparativo della rappresentatività delle organizzazioni sindacali sul piano nazionale, invece di conferire tale agibilità a quegli organi di coordinamento delle rappresentanze sindacali già previsti dall’ultima parte dell’articolo 19 dello Statuto e riconsiderati dal punto 7, Sezione seconda, del Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 sottoscritto da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil.

L’installazione e l’impiego di tali strumenti necessitano della esclusiva sussistenza di esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro di tutela del patrimonio aziendale, costituendo, queste, i presupposti per la stipula preventiva dell’Accordo sindacale o dell’autorizzazione della DTL.

Inoltre, tutte le informazioni raccolte con i mezzi di controllo di cui ai commi 1 e 2 devono essere utilizzati nel rispetto della disciplina sulla privacy. Infatti il comma 3 del novellato articolo 4, a chiusura della disciplina sui controlli a distanza, prescrive che tali informazioni «sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196» sul trattamento dei dati sensibili. Vi sarebbe da chiedersi se fra «tutti i fini connessi al rapporto di lavoro» rientrano anche i fini tipicamente disciplinari, potendosi configurare in tal caso una sorta di espansione del potere direttivo del datore di lavoro.

D’altro canto, dovendo, da un lato, sussistere una esigenza di «tutela del patrimonio aziendale» di cui alla fattispecie regolata al comma 1, e dall’altro rispettare le norme sulla privacy per l’utilizzo dei dati raccolti con gli strumenti diretti di lavoro, non sarebbe inopportuno se le Aziende procedessero ad una revisione non solo dei rispettivi mansionari – ai fini di una migliore demarcazione fra controlli difensivi e gli altri controlli a distanza –, ma anche delle policy di utilizzo di tutti quegli strumenti di lavoro utilizzati dal personale per esercitare le loro mansioni dirette o accessorie, al fine di rimanere coerenti, nel nuovo scenario generato dalla novella dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, rispetto all’applicazione di alcuni fondamentali principi in materia di privacy già valorizzati dal Garante per la protezione dei dati personali dalle Linee Guida per l’utilizzo della posta elettronica e di internet del 2007 (quali pertinenza, correttezza, non eccedenza del trattamento, divieto di profilazione), utili a tutelare il lavoratore da una potenziale sorveglianza massiva e totale.


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