Collazione: il bene ricevuto in donazione va stimato in base al valore di mercato attuale
Cassazione Civile, sez. II, sentenza 06/10/2016 n° 20041
Fatto
In vita, il padre dona ai figli alcuni beni: un appartamento, con annesso garage, e tre terreni, di cui due già venduto dagli eredi, i quali avevano consensualmente diviso il ricavato. Due figli citano in giudizio il fratello chiedendo che, a seguito dell'obbligo di collazione (art. 737 c.c.), sia conferito nell'asse ereditario, anche il valore del terreno a lui donato. Il fondo, al momento, aveva destinazione agricola ed era stato venduto per 15.000.000 delle vecchie lire dalla donataria. Morto il genitore, alla data dell'apertura della successione, quel terreno era diventato edificabile e il suo valore stimato in Euro 108.000,00 dal CTU.
Sia in primo grado che in appello, l'uomo faceva osservare che il valore del terreno oggetto di collazione doveva essere determinato con riferimento al tempo della donazione, senza tener conto della diversa destinazione urbanistica acquistata successivamente. Secondo la Corte d’Appello di Catania, la collazione doveva avvenire per imputazione, mediante conferimento nell'asse ereditario, a carico dell'appellato, del valore del terreno donatole dal padre, da determinare con riguardo al momento dell'apertura della successione in base all’art. 747 c.c.
La collazione per imputazione – specifica la Corte – costituisce una fictio iuris, per effetto della quale il coerede che, a seguito di donazione, abbia già anticipatamente ricevuto una parte dei beni a lui altrimenti destinati solo con l'apertura della successione, ha diritto a ricevere beni ereditari in misura ridotta rispetto agli altri coeredi, tenuto conto del valore di quanto precedentemente donatogli. Il valore è determinato al momento dell'apertura della successione. I beni oggetto della collazione non tornano materialmente e giuridicamente a far parte della massa ereditaria, ma il loro valore incide solo nel computo aritmetico delle quote da attribuire ai singoli coeredi, secondo la misura del diritto di ciascuno (Cass. Civ. 30 luglio 2004, n. 14553). Il coerede donatario vende a proprio rischio se cede il bene oggetto della collazione prima del momento dell’apertura della successione.
La sentenza della Cassazione
L'erede impugna la sentenza denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 746, 747, 748, 749 e 769 c.c. La censura riguarda la parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che il valore del bene donato dovesse essere determinato secondo il suo stato giuridico al tempo della successione e quindi quale terreno edificabile. Secondo il ricorrente, per ristabilire la proporzione delle quote ereditarie, il coerede donatario sarebbe tenuto a conferire alla massa ereditaria solo il valore rappresentato dall'effettivo arricchimento di cui egli ha goduto a seguito della liberalità. Se così non fosse, gli eredi non donatari sarebbero favoriti, nella determinazione delle loro quote ereditarie, dall’aumento del valore del cespite.
In sostanza, la collazione finirebbe per produrre, in maniera irragionevole e contrariamente al suo scopo, un ingiusto vantaggio per alcuni coeredi. La norma di cui all’art.747 c.c., sarebbe illegittima costituzionalmente per contrasto con l'art. 3 Cost., poiché il coerede donatario sarebbe sempre esposto al rischio di mutamenti inerenti alla natura materiale e giuridica del bene ricevuto, intervenuti in epoca precedente all'apertura della successione. Questa interpretazione della norma produrrebbe il trattamento omogeneo di situazioni differenti, riguardanti, da un lato, il caso in cui il donatario non alieni l'immobile, decidendo per la conservazione dello stesso fino al momento dell'apertura della successione e, dall'altro, l'ipotesi in cui quel soggetto decida, invece, di trasferire quello stesso bene a terzi.
La Cassazione respinge tutti i motivi di ricorso. La Corte non ritiene applicabili le ipotesi di cui agli artt. 748 e 749 c.c. che consentono di tenere in considerazione, ai fini della collazione per imputazione, i miglioramenti apportati al bene. Le regole poste dalle predette norme sono ritenute espressione dei principi generali che reggono il possesso di buona fede (art. 1150 c.c.) e, più in generale, di quelli in tema di indebito arricchimento. In particolare, il rimborso dei miglioramenti è necessario perché non sarebbe ragionevole imporre al donatario di conferire un valore che non è riferito all'originaria consistenza della cosa donata, ma che dipende da iniziative da lui assunte (nel caso di miglioramenti eseguiti a sua cura e spese) o da interventi di terzi.
E' escluso, invece, che possa essere considerata miglioria, l'acquisizione da parte del fondo di un’attitudine edificatoria prima mancante. Il mutamento di destinazione urbanistica del fondo non dipende da un'attività del donatario o del terzo che è diretta a incrementare il valore del bene: non è collegato a un esborso del donatario o all'arricchimento, corrispondente al valore delle opere realizzate, che il terzo abbia disposto in favore di quel soggetto.
Al contrario, il cambiamento della destinazione del bene rappresenta una variabile economica da tenere in conto ai fini della stima del bene al momento dell'apertura della successione. La Corte cita un suo precedente in cui è stato ritenuto che anche l'inizio di un procedimento di trasformazione urbanistica è di per sé sufficiente ad incidere sul valore di mercato di un immobile compreso nell'area oggetto dello strumento urbanistico (Cass. Civ. 24 novembre 2009, n. 24711). Se così non fosse, si verificherebbe l’inaccettabile conseguenza per cui, a fronte di uno stesso fatto (il mutamento della destinazione urbanistica del fondo), la collazione avrebbe ad oggetto il valore di mercato del bene, nel caso in cui questo sia rimasto nella disponibilità del donatario, e il valore del bene al netto dell'incremento determinato dalla sopraggiunta vocazione edificatoria del fondo, nel caso in cui questo sia stato invece alienato.